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brancola nel buio 96835

I fatti di violenza urbana avvenuti recentemente nel napoletano, che hanno visto tra i protagonisti dei minorenni, pongono l’accento non solo sul problema dei minori che delinquono, ma anche sul linguaggio giornalistico usato per descriverli. Esiste infatti, a mio avviso, una terminologia mediatica altrettanto problematica e scorretta sul piano psico-educativo; mi riferisco in particolar modo al continuo accostare la violenza di gruppo alla parola “branco”.

Il branco è un termine che ha un riferimento psicoantropologico molto importante soprattutto nell’immaginario adolescenziale e non necessariamente deve possedere aspetti negativi. Non dimentichiamo che nei boyscout il branco di lupetti rappresenta una funzione socializzante e formativa determinate.

Il branco è qualcosa che crea appartenenza, che sostiene, che definisce, che protegge e che si auto determina con regole e leggi interne, quindi è qualcosa di positivo specie per un adolescente in difficoltà che cerca disperatamente un modo per emergere. Il problema vero semmai riguarda il come si vuole emergere. La violenza in effetti dà una visibilità immediata e consente di sperimentare una self efficacy, destinata però ad esaurirsi in pochi istanti, riportando i soggetti coinvolti ad un contatto con le proprie miserie interiori.

Quello che i giornalisti dovrebbero cominciare a capire è che violenza fa rima con impotenza ed essa viene messa in campo quando non si possiedono risorse umane adeguate per interagire con la realtà in modo costruttivo. Per cui la violenza del branco, che suona come un incitamento erotico per coscienze misere e non solo, dovrebbe essere sostituito con il termine di “impotenza di gruppo violenta”.

La violenza di gruppo infatti è la conseguenza della somma dell’impotenza di singoli individui che solo grazie agli altri riescono ad esprimerla. Sono convinto che un uso sistematico di queste parole avrebbe un effetto positivo a lungo termine nel contrastare una latente autocelebrazione della violenza di gruppo come potente fatto sociale.

Spero che i giornalisti da semplici ‘spacciatori di notizie’ che spesso brancolano nel buio non tenendo conto dei sottili significati del linguaggio, possano riappropriarsi di una funzione pedagogica anche con l’ausilio di altri professionisti. Ritengo che un impegno della categoria in tal senso sia fondamentale per arrivare a contenere l’enfasi feticista di episodi simili ed il possibile effetto emulazione.

(Articolo del 15 Gennaio 2018)

Stefano Pica