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Nel dibattito pubblico, quando si reclama a gran voce una società più equa e giusta – dunque, la garanzia di alcuni diritti fondamentali, nonché un sistema di welfare che sostenga l’individuo e la collettività (soprattutto in periodi di crisi) – è abbastanza allucinante porsi il quesito “e dove reperiamo le risorse?”. Ragionare secondo questa logica, significa considerare i diritti una vera e propria “merce”. Significa, cioè, concepire lo Stato come un’azienda che, a fronte di un pagamento, ti vende il suo prodotto: il diritto di godere di un qualcosa che dovrebbe essere dovuto, per il fatto stesso di appartenere alla famiglia umana.


E’ la stessa logica che porta ad accettare l’idea che lo Stato funzioni con il sistema della contabilità aziendale – entrate/uscite – e che dunque non possa spendere più di quanto guadagni.
No, lo Stato è un altro tipo di entità. Lo Stato non può e non deve lasciarti crepare, soltanto per dare seguito a queste idee presunte “tecniche”, ma nei fatti irrazionali, anti-umane, anti-sociali e, a ben vedere, completamente folli.
Eppure, viviamo in un sistema in cui le regole del gioco sono esattamente queste. Viviamo nella cosiddetta “società di mercato”, che è diversa dall’“economia di mercato”: in quest’ultima, le merci, i servizi e i fattori di produzione hanno un prezzo; nella società di mercato, TUTTO ha un prezzo. Anche la vostra anima, probabilmente. Figuratevi i diritti.

Nel corso della campagna elettorale prossima ventura, si sentirà spesso questa domanda nei talk show: “da dove pensate di reperire le risorse?”. E tutti si affanneranno, con espedienti retorici, a presentare programmi cosiddetti “credibili”. E’ da questi passaggi che si nota l’appartenenza – consapevole o meno – ad un sistema che risponde ad un pensiero unico. Tutti si affanneranno a spiegarvi cosa taglieranno e dove, chi tasseranno e perché (come se, tra le altre cose, non ci fosse già abbastanza pressione fiscale per chiunque).
Si potrebbero fare dei riferimenti più approfonditi alla scienza economica, ma penso che questa riflessione debba essere sviluppata innanzitutto su un piano filosofico ed ideologico, prima che politico-economico.
Accettate l’idea che tutto sia in vendita?

Inoltre, aggiungo che il soffermarsi su tali questioni di matrice “mercatistica” è perfettamente prevedibile, e anche normale, se poste da partiti di centrodestra: essendo, di solito, partiti votati al liberismo - e quindi all'idea che lo Stato debba arretrare, e di molto, il suo raggio d'azione, in favore del mercato - non c'è nulla di cui scandalizzarsi, poiché la cosa è ampiamente nota e connaturata ad essi.

Il grande paradosso, nonché la grande coltellata alle spalle, sarà (perché succederà, com’è già successo) vedere i partiti “de sinistra” adottare questa logica.
Sarà particolarmente interessante osservare anche coloro che si dichiarano “più uguali” o “più de sinistra” degli altri.

Anche da questa riflessione, se fatta con onestà intellettuale, passerà la presa di coscienza sull’ideologia (prima che sulle persone) che si intenderà sostenere.
E, di riflesso, sul mondo che vogliamo.


Rosario Picolla