Libia 90462

Libia 90462

Per comprendere come si può ancora agire in Libia bisogna prima aver ben chiara la situazione e capire come si è arrivati a questo punto.

Il parlamento turco ha appena approvato il possibile invio di truppe regolari turche il Libia. Per valutare le implicazioni e le conseguenze dell’intervento turco bisogna partire da lontano, dalla Siria.

Le atrocità e i soprusi perpetrati in Siria, sembrano aver poco a che fare con quello che sta accadendo in Libia, eppure non è così.

Per quanto l'Oservatorio sui Diritti non è sempre stato preciso e imparziale, i numeri sono stati grossomodo confermati anche da altre fonti. https://raiawadunia.com/rojava-la-turchia-usa-larma-infame-dello-stupro-di-guerra-contro-le-donne-curde/

https://it.insideover.com/guerra/i-crimini-di-guerra-turchi-nel-nord-est-della-siria.html

 e non solo queste citate per brevità.

La maggior parte di queste azioni sono state effettuate non dall'esercito turco regolare, ma da chi fa il lavoro sporco per Erdogan cioè le milizie fondamentaliste islamiche, jihadiste, tra cui Al Nusra (praticamente una costola di Al Qaida) responsabili tra l’altro dell'efferata uccisione di Hevrin Khalaf, la femminista e attivista curda  dei diritti civili.

https://blog.movimentoroosevelt.com/blog/blog-dipartimenti/geopolitica-e-difesa/2170-ibrahim-awwad-ibrahim-ali-al-badri-al-samarrai-fu-vera-morte-i-curdi-siriani-e-il-resto-del-mondo.html

Bene, come avevamo facilmente pronosticato, le azioni violente, i bombardamenti e la pulizia etnica proseguono, come si evince da questa cartina https://syria.liveuamap.com/

 Ma gli stessi autori di queste azioni ora verranno trasportati su un altro fronte ben più vicino e strategico per l'Italia: la Libia. Sembrano già partiti in più di 300 per il momento, ma dovrebbero aggiungersi un altro migliaio.

https://syria.liveuamap.com/en/2019/30-december-photo-published-of-syrian-sna-fighters-with-turkish

 Rischiando così di perpetrare le stesse violente azioni in terra nordafricana aprendo un fronte jihadista a pochi chilometri dalle nostre case.

Nel frattempo Erdogan vola a Tunisi (paese nostro amico fino ad ora di cui abbiamo aiutato la stabilità negli anni passati) per stringere accordi con quel governo sulla crisi libica e sulle azioni seguenti. Tali azioni potrebbero destabilizzare anche i paesi limitrofi coma l'Algeria e appunto la Tunisia, il cui equilibrio è sempre più fragile e potrebbero innescare una situazione esplosiva nel nostro confine meridionale, grazie proprio anche a queste milizie filo turche.

La Turchia, che di fatto sta prendendo il posto della debole e inconcludente Italia, ma anche dell’Europa e dell’occidente in generale, come "sponsor" del legittimo governo di Sarraj, mira a espandere la sua influenza neo-ottomana, come più volte dichiarato in pubblici comizi, ma anche scritto dal suo ex ministro degli esteri, di fatto sostituendosi sia all'Italia, sia all’ONU, sia ad altri paesi. Gli interessi della Turchia sono anche energetici, nonché economici (la ricostruzione fa gola) e contrapposti a quelli nostri legittimi. Mira ad accaparrarsi gli immensi giacimenti di gas al largo delle coste greco-cipriote (ma non solo) e libiche. Non dimentichiamo che al largo della Libia ci sono giacimenti quasi equivalenti a quelli di Eastmed. Questi giacimenti, di cui ENI detiene legittimamente la quota maggiore dei diritti di sfruttamento, sono fondamentali per l'indipendenza energetica del paese, che vedrà il gas sempre più presente al posto di altri tipi di fonti fossili molto più inquinanti e come elemento di transizione(non breve) verso un futuro di energie rinnovabili preponderanti. Il piano industriale che riguarda l’ex ILVA, solo per fare un  esempio attuale, si basa sull'ampia disponibilità di fonti di gas a basso prezzo al posto del carbone per poter essere attuato. Quindi queste fonti sono strategiche per lo stesso apparato industriale e produttivo italiano, nonostante lo stesso M5S abbia avuto idee di fatto opposte, avendo tentato di boicottare sia il TAP che sbarcherà in Puglia, sia il progetto del nuovo gasdotto Eastmed che da Israele passerà per Cipro, Creta, Grecia continentale e di nuovo Puglia (a due passi da Taranto, guarda caso). Pare che ultimamente abbia però benedetto l’intesa firmata tra Cipro Israele e la Grecia per l’inizio della fase atuattiva del gasdotto, anche se l’Italia, che dovrebbe essere il punto di arrivo della pipeline, tanto per cambiare, non era ancora presente.

Visti i rapporti di Erdogan con la Russia, se la situazione continua ad evolversi come negli ultimi giorni, probabilmente non ci sarà uno scontro tra i due paesi (la Russia assieme a Egitto, Arabia Saudita, EAU, e più debolmente Giordania e Israele appoggia Haftar., ma de facto ci sarà una spartizione: la Cirenaica sotto l'influenza russa (con Haftar ci sono dai 400 ai 1200 mercenari russi, nonché da 1000 a 3000 sudanesi e questo con delle parti opposte che hanno eserciti di 16-18.000 uomini ciascuno cambia totalmente gli equilibri,) la Tripolitania sotto l'influenza turca. Del resto all'Arabia Saudita e all'Egitto è sufficiente eliminare i Fratelli Musulmani che appoggiano Sarraj e che vedono come fumo negli occhi e mantenere una forte influenza politica di controllo. Né i Sauditi, né l'Egitto (almeno quest’ultimo per quanto riguarda il gas) mirano alle riserve energetiche libiche, se non per controllare la “concorrenza”. Ne hanno in abbondanza.

Chi ha da perdere di più da questa situazione è soprattutto l'Italia, in termini di sicurezza, di approvvigionamenti energetici, di importanza geopolitica, stabilità dei propri confini, di scambi commerciali, controllo delle rotte marittime, sicurezza della pesca... Un conto è avere dei vicini amichevoli e in buoni rapporti o perlomeno neutri, un altro vicini ostili e soprattutto eterodiretti. Non c'è dubbio che la Turchia userebbe i nostri interessi libici come ricatto o merce di scambio per quelli in Eastmed, per ben che ci vada.

La situazione poteva essere evitata?

Probabilmente sì, se avessimo avuto una politica più lungimirante e coraggiosa. ENI a parte, nessuno ha avuto in Italia una politica per la Libia che non fosse il barcamenarsi da una tornata elettorale all'altra e la preoccupazione che non diventasse un pericolo (supposto) di perdita di consensi. Per far la politica dello struzzo rischiamo di finire come un tacchino (arrosto). Probabilmente sarebbe bastato, una volta che ci si era resi conto delle vere intenzioni di Haftar dopo la sua conquista del Fezzan, mandare un paio di navi al largo della Libia, il sorvolo da parte dei nostri aerei delle sue linee, per fargli passare la sicurezza di vincere ed indurlo a più miti consigli, senza quindi sparare un colpo e risparmiando un paio di migliaia di vittime. Ancora prima, quando Renzi reclamava la cabina di regia, alla richiesta americana di mettere anche 7000 uomini “boots on the ground” il nostro premier di allora se l’era fatta addosso al solo pensiero, preoccupato com’era del suo bacino elettorale (che comunque l’ha perso lo stesso e per tutt’altre ragioni).

Possiamo fare ancora qualcosa o dobbiamo rassegnarci a un nostro triste declino geopolitico e quindi anche, parzialmente, economico? (ebbene sì, le due cose possono essere anche collegate)

Probabilmente possiamo ancora fare qualcosa, ma le possibilità d’intervento sono molto più ristrette e parziali rispetto anche solo a pochi mesi fa.

Prima di rispondere adeguatamente però bisogna capire da dove siamo partiti e quali sono le forze in campo.

Tralasciamo la guerra del 2011 in quanto sono ben noti gli antefatti, il ruolo deleterio della Francia e il fatto che l’Italia, appoggiando l’intervento ha attuato una specie di suicidio geopolitico.

Semplificando e riassumendo brutalmente

Nel 2012 si tengono le prime libere elezioni per cui il precedente Consiglio Nazionale di Transizione trasferisce il potere al neoeletto Congresso Nazionale Generale. Al Zeidan, avvocato per i diritti umani viene eletto primo ministro, ma si dimette quasi subito, ufficialmente per non essere riuscito a fermare traffici illegali di petrolio. Nel parlamento le fazioni islamiche più radicali prendono il sopravvento su quelle centriste e moderate e tentano di votare un’applicazione della sharia. Il generale Haftar minaccia un colpo di stato. Conduce un’offensiva contro le milizie più estremiste e contemporaneamente milizie a lui fedeli attaccano il parlamento di Tripoli. Il presidente in carica sconfessa l’operato di Haftar e parla apertamente di tentativo di colpo di stato. Vengono proclamate nuove elezioni per eleggere un nuovo parlamento di 200 membri sotto indicazione dello stesso Congresso Nazionale. A causa delle violenze e della situazione instabile solo il 18% della popolazione riesce a votare e 12 membri su 200 non possono venir eletti. Si decide che il parlamento si riunisca a Tobruch, sotto il dominio di Haftar, ma una trentina di membri rifiutano la sede. Contemporaneamente molti deputati del precedente parlamento si riuniscono a Tripoli e si autoproclamano parlamento legittimo, mentre le milizie di Misurata scacciano dall’aereoporto di Tripoli le milizie fedeli ad Haftar. Gli Emirati bombardano i misuratini senza successo. Per la prima volta si ha un intervento palese straniero non rivolto ai gruppi estremisti e dell’ISIS. Si succedono varie vicissitudini impossibili da sintetizzare, tra cui un nuovo autoproclamato parlamento a Tripoli formato da molti membri del precedente, sciolto parlamento. Comunque il 13 dicembre 2013 a Roma (che aveva allora ancora un ruolo importante in Libia) viene firmato un accordo tra i rappresentanti dei due parlamenti, che non viene ratificato dai parlamenti stessi per l’opposizione dei loro due capi. Viene quindi nominato al Sarraj a capo di un consiglio presidenziale che a sua volta nominerà i membri del governo. L’ONU riconosce quello di Sarraj come unico governo legittimo della Libia e quindi gli avvalla il sigillo internazionale di legittimità. Molte delle milizie si adeguano, qualcuna tenta di ribellarsi ma viene soggetta a sanzioni o combattuta, ma soprattutto il parlamento di Tobruk che dovrebbe trasformarsi in camera bassa, sotto l’influenza di Haftar rimanda sine die la ratifica prima di respingerla definitivamente..

Seguono altre vicissitudini difficili da riassumere dopo la conquista della Cirenaica da parte di Haftar, la precedente liberazione di Sirte dall’ISIS da parte della milizie di Misurata. Un tentativo di prendere Tripoli con la forza da parte dell’autoproclamata VII Brigata (probabilmente appoggiata da Haftar e dai Francesi) viene respinto grazie alla calata su Tripoli delle Milizie di Misurata (probabilmente favorita e finanziata dagli Italiani che là mantengono non a caso il famoso ospedale da campo). Da quel momento le milizie di Misurata divengono di fatto il più importante tassello militare che sostiene il governo Sarraj. Si arriva a febbraio dello scorso anno a un accordo tra Haftar e Sarraj per nuove elezioni, accordo che vede Sarraj alla presidenza e Haftar a capo delle Forze Armate e di fatto numero due, ma anche l’uomo più potente del successivo esecutivo.

Sembra fatta, ma Haftar attacca nel Fezzan. Può sembrare un’avanzata per riammettere sotto il controllo quella regione ancora piena di fondamentalisti e di seguaci dell’ISIS. Forse lo pensa anche Sarraj che all’inizio prende sottogamba tale avanzata e solo quando è ben chiaro che Haftar punta a Tripoli inizia a reagire pesantemente e, non a caso, solo allora inizia a chiamare Haftar traditore. Perché Haftar ha tradito? Per sete di potere, fin dall’inizio voleva divenire un nuovo Gheddafi e per denaro. In effetti il “tradimento” è stato finanziato e voluto soprattutto da Arabia Saudita, Emirati ed Egitto che vedono i Fratelli Mussulmani che sostengono Sarraj come fumo negli occhi, Quello che deve essere chiaro è che i Fratelli Musulmani non sono un’organizzazione terroristica come vorrebbero far credere alcuni paesi che li ritengono un pericolo perché alternativa allettante ai lororegimi, ma appartengono a un’ala relativamente moderata dell’islamismo, sicuramente, religiosamente parlando, più moderata dei Wahabiti sauditi. Né Haftar può vantarsi di essere l’unico baluardo contro il terrorismo e il fondamentalismo islamico, poiché all’interno dell’eterogeneo gruppo che combatte sotto la sua bandiera ci sono anche formazioni radicali salafite vicine ad Al Qaida e il principale e più agguerrito gruppo che sostiene Sarraj, le milizie di Misurata, è stato quello che ha liberato Sirte dall’Isis e ha pagato il più duro prezzo di sangue. Del resto Haftar si è rilevato uomo di scarse abilità militari (suo il fallimento della spedizione di Gheddafi in Ciad che infatti l’aveva cacciato). Haftar, del resto,  dopo mesi di empasse, è riuscito a prendere Bengasi all’ISIS solo grazie ai consiglieri militari francesi e non è riuscito a conquistare Tripoli nonostante gli appoggi di mezzo mondo arabo, della Russia e della Francia. Uomo inaffidabile sia per gli avversari, sia per i suoi stessi sponsor, che farebbero meglio a pensare a una sua sostituzione.

La situazione attuale quindi è che Haftar, grazie agli appoggi concreti della Russia, come già visto, Emirati (droni, aerei, tecnici), Arabia (soldi) Sudan (mercenari) finalmente per lui sta avanzando decisamente verso il centro di Tripoli. Se penetrasse in città sarebbe un bagno di sangue e non solo per la lotta casa per casa. Già in precedenza si è vendicato su militari e sostenitori di gruppi a lui avversi, il suo non è certamente un regime democratico e rispettoso dei diritti umani, per usare un eufemismo, visto anche il trattamento subito ad esempio da una parlamentare del parlamento di Tobruch che era contraria all’offensiva su Tripoli. Sarraj è stato costretto ad accettare l’aiuto peloso della Turchia e a firmare il trattato sulla delimitazione delle zone economico esclusive libico turche che di fatto taglia fuori Cipro, Grecia, in parte Egitto e di conseguenza gli interessi energetici, e non solo, italiani in tutto il Mediterraneo centro-orientale e quindi potenzialmente può scatenare un conflitto in Mediterraneo orientale. Come ha dichiarato lo stesso Sarraj, è stato costretto all’accordo per il reiterato diniego italiano ed europeo ad un aiuto concreto. Se Sarraj grazie ai Turchi avesse la meglio, la situazione non sarebbe molto migliore. Al servizio dei Turchi ci sono i già nominati tagliagole siriani e una potente controffensiva che andasse oltre le linee della Tripolitania scatenerebbe ancora più veementi controreazioni rendendo ancor più marginale il ruolo dell’Italia e dell’Europa. Deve essere chiaro che una soluzione definitiva e a noi non sfavorevole oramai non può più passare solamente per le vie diplomatiche senza la volontà di rischiare l’invio di truppe o aiuti militari, né può passare per una completa vittoria di uno dei due contendenti (impossibile per Sarraj, difficilissima oramai per Haftar). La soluzione può passare solo attraverso un nuovo equilibrio tra le forze in campo e la consapevolezza che nessuno dei due possa prevalere. Ma probabilmente Turchia e Russia hanno ben chiaro questo e proprio questo potrebbe essere il loro scopo al fine di spartirsi la Libia, con gli altri attori costretti a un ruolo subalterno. A confermare ciò la notizia, ancora non confermata, del ritiro dei contractors russi della Wagner dalla prima linea, in maniera da non venire a contatto con i Siriani prima e   Turchi dopo. A meno che la Russia non voglia gettare alle ortiche l’alleanza di fatto con la Turchia che sembra addensarsi in Medio Oriente a scapito proprio della fedeltà della Turchia alla NATO e in cambio del sostegno alle mire espansionistiche turche in Eastmed (che farebbe molto comodo agli interessi geostrategici russi). Questo potrebbe avvenire solo per un tradimento turco a queste politiche con riavvicinamento alla Nato, o per un riavvicinamento tra Russia e USA in cambio della soluzione della crisi nel Donbass e di conseguenza in Crimea,(strappando così la Russia dalla scomoda per lei alleanza con la Cina) o dell’ingordigia di Erdogan verso i territori dell’alleato di ferro della Russia, cioè la Siria. A sparigliare però questa situazione è la notizia dell’eliminazione del generale iraniano Suleimani, figura mitica al comando delle truppe speciali pasdaran Al Quods, artefice di tutti i legami militari e di intelligence iraniani all’estero con la Siria, gli Hezbollah libanesi, gli Houthi yemeniti… e figura molto popolare nello stesso Iran, anche di chi avversa l’attuale governo e sistema di potere. A parte le gravi ripercussioni internazionali che avremo modo di commentare in altra sede, questo porrà anche la Turchia davanti a un bivio di difficile scelta. Lo scontro si radicalizzerà. Dove andrà la Turchia? Appoggerà gli USA nel probabile sciame di conseguenze che ciò comporterà o si schiererà con l’Iran e probabilmente di conseguenza con la Russia, allontanandosi forse definitivamente dalla NATO? Impossibili che tali scelte non abbiano conseguenze anche per quanto riguarda la politica in Libia. Oltretutto, dalle prime impressioni, sembra che l’opinione pubblica turca non sia molto favorevole alla spedizione, nonostante la propaganda ufficiale, quindi non ci dovrebbe essere quell’aumento di consenso che si è avuto dopo l’avanzata in Siria,consenso prezioso visto il sempre più forte malcontento, specialmente della classe media, per la situazione economica che si va sempre più compromettendo.

E veniamo ora alla situazione attuale dell’Italia.

Non possiamo più intervenire con aiuti concreti al governo Sarraj poiché andremo in pratica a sostenere chi vuol stroncare tutti i nostri interessi in Libia e nel Mediterraneo, in pratica ripetendo il suicidio del 2011: la Turchia. Non possiamo nemmeno saltare sul carro di Haftar: azione tardiva e del resto poco onorevole, nonché inutile. Haftar ha tanti e tali sponsor che a noi non lascerebbero alcuno spazio.

 Come si è già accennato in altri scritti, in geopolitica uno spazio lasciato vuoto per una legge quasi fisica viene immancabilmente riempito da qualcun altro e quasi sempre in maniera sfavorevole a chi il vuoto l’ha provocato. L’Italia fino a tutto il 2018 non si era mossa male, tutto sommato, sicuramente meglio della Francia e aveva mantenuto il dialogo con le due parti, anche se appoggiando il governo Sarraj (probabilmente anche attraverso informazioni di intelligence di tipo militare grazie ai droni e ai satelliti spia), ma  in questo momento l’Europa e l’Italia sembrano quasi patetici nell’affermare che l’unica soluzione possibile è la pura diplomazia. La diplomazia senza un impegno militare ed economico, almeno come concreta minaccia, è l’unica soluzione attualmente impraticabile, invece. Ci troviamo in una situazione perlomeno imbarazzante. In Libia siamo in pratica de facto alleati di una nazione in cui siamo rivali in un’altra parte del Mediterraneo, cioè la Turchia e rivali, almeno ora con la discesa in campo della Turchia, con paesi amici di cui abbiamo tutto l’interesse a sostenere nel Mediterraneo: Grecia e Cipro. Mandiamo una fregata assieme ai Francesi per difendere i nostri interessi energetici al largo di Cipro e contemporaneamente siamo su fronti diversi in Libia. Situazione scabrosa. L’unica possibilità è tagliare questo nodo gordiano apparentemente insolubile. Su quali punti forti in mezzo a tanto caos e a sbagli accentuati proprio dagli ultimi governi l’Italia può contare?

 NOC, terminale di Mellitah, Banca Centrale Libica, Ospedale di Misurata. Cosa sono e come sfruttarli?

NOC e terminale di Melllitah. La National Oil Company libica è un organismo super partes che distribuisce i proventi del petrolio a tutti gli attori in campo, compreso Haftar, per questo il generale non ha mai osato attaccarla, e per questo Tripoli è così importante, non solo perché è la capitale. NOC è l’unico soggetto libico a poter esportare idrocarburi e a non essere sotto embargo. Haftar senza NOC non può esportare il petrolio in mano sua (a parte clandestinamente attraverso l’Egitto) Di fatto ENI è il principale partner di NOC poiché non solo gestisce il terminale di Mellitah da cui parte greenstream, il gasdotto che porta il gas libico in Italia, ma gestisce la distribuzione del gas per tutta la Libia e relativamente la maggior quota di pozzi petroliferi nella Libia occidentale. E’ per questo che Haftar non osa occupare i giacimenti sotto il controllo di ENI. Ci perderebbe anche lui.

Stessa cosa per la banca Centrale Libica, organismo superpartes che distribuisce gli stipendi a tutte le fazioni in campo. Ci sono già state in passato voci (non confermate) di una trasferta dei valori depositati nella banca libica in Italia per salvaguardarli da possibili razzie delle parti in campo. Proteggere a qualunque costo queste due istituzioni e la nostra ambasciata e le zone immediatamente circostanti al centro di Tripoli ci lascerebbe comunque un ruolo supepartes, di protezione della legittimità internazionale e impedirebbe l’eventuale completa conquista di Tripoli da parte di Haftar senza mettersi apertamente contro. Inoltre non ci renderebbe di fatto sostenitori della Turchia senza danneggiare però il governo Sarraj. Ma queste enclaves dodranno essere protette ad ogni costo, compreso l'utilizzo eventuale dell'aviazione e possibilmente con un mandato internazionale. Però deve essere chiaro che finché c’è Haftar non c’è possibilità di pace duratura. Dovremo impiegare tutte le nostre energie diplomatiche per convincere Tobruch, e i suoi alleati esterni che oramai Haftar è un problema anche per loro e che una sua sostituzione sia quantomeno opportuna con una figura che può essere prestigiosa e unificante (da valutare se il figlio di Gheddafi può o meno essere un’opportunità; tra l’altro conosce l’Italia molto bene, avendo giocato nell’Udinese,  sperando che non l’abbia a morte con noi)

Abbiamo a Misurata un ospedale da campo e abbiamo probabilmente sostenuto le sue milizie nel loro avvicinamento al governo di Sarraj e al suo sostegno decisivo. E’ un patrimonio che deve essere preservato, o almeno che dovrebbe, rafforzando la nostra presenza, specialmente se Tripoli minaccia di cadere. Però occorre avere le idee ben chiare e soprattutto capire da che parte i misuratini vogliono stare. I rifornimenti turchi in barba all’embargo arrivano proprio nel porto di Misurata, arrivavano già parecchi anni fa, e una nave piena di armi e munizioni, diretta a gruppi di fondamentalisti, era già stata sequestrata tempo fa dal governo legittimo, cioè dallo stesso al Sarraj. Misurata è il porto preferito dai Turchi poiché lì c’è una grossa percentuale di popolazione turcofona, di fatto molto influente e potente in città, quindi vicina idealmente ai Turchi. Come si schiereranno quindi? Appoggeranno noi o i Turchi? Diverrà un nostro bastione o rischiamo di venir cacciati ignominiosamente dopo l’intervento turco se fosse risolutivo? Le prime avvisaglie ci sono già. Sembra che prossimamente in una riunione con i vertici tripolini del GNA che si terrà a Misurata, alcuni di questi esponenti, probabilmente su impulso di Ankara, richiederanno di far ritirare gli Italiani dalla città. Bisogna vedere se Misurata accetterà o meno. Sicuramente gli Italiani oramai non sono ben visti come prima a causa proprio della loro ignavia. Questo sarà il banco di prova della nostra diplomazia. Visto come il nostro ministro degli esteri si è comportato fino a ora, l’ottimismo sicuramente è fuori luogo.  Solo un’abile e spregiudicata diplomazia supportata da mezzi finanziari e aiuti e spiegamenti militari adeguati potrebbe evitare questo rischio, che dovremmo comunque prendere in considerazione in ogni momento. Lo ripetiamo quindi, NOC, Mellitah, Banca Centrale e Misurata devono essere i nostri capisaldi fino a un miglioramento della situazione, miglioramento che avverrà probabilmente anche per un logoramento reciproco delle parti in campo, se Turchia e Russia non avranno le condizioni per mettersi d’accordo, cioè il completo controllo delle loro fazioni e dei territori. Il nostro scopo non deve essere quello di sostenere esclusivamente e completamente una fazione ma di ricercare e ricreare un equilibrio eventualmente anche manu militari, e il dialogo tra di esse, dove deve risultare che è impossibile per una delle due prevalere completamente, in maniera da favorire successivi colloqui di pace e una sistemazione definitiva della Libia, in senso anche a noi favorevole. Dobbiamo quindi, a differenza degli altri attori, appoggiare la Libia e le poche istituzioni ancora superpartes. Solo così conserveremo la residua fiducia che i libici hanno verso l’Italia e porremo le basi per una nostra presenza nel fianco sud dei nostri confini. Naturalmente tutto questo deve essere supportato da un’adeguata cornice diplomatica che dobbiamo nel frattempo saper tessere, assicuraci il supporto a livello europeo e NATO (abbiamo ad esempio interessi convergenti con UK che andrebbero sfruttati in quanto UK ha tutto l’interesse a mantenere le rotte commerciali mediterranee sicure, come da trecento anni a questa parte), ma soprattutto americano, pur tenendo presente i problemi di affidabilità e di coerenza che attualmente dimostrano gli USA. Dobbiamo tentare un dialogo con la Francia e arrivare a un accordo comprensivo anche su Eastmed. Dovremo forse concedere qualcosa (ma non troppo) poiché la situazione rispetto a prima è molto compromessa anche per i Francesi che di fatto ora sono costretti a un ruolo marginale, sperando che non si comportino ancora in modo sconsiderato goffo e alla fine  autolesionistico come hanno fatto finora in Libia.

Quello che deve però essere ben chiaro è che al momento, contrariamente a quello che bela l’Italia e l’Europa, non è possibile alcuna soluzione diplomatica, se non la spartizione russo-turca; non è vero che l’unica soluzione come ripetono stantiamente è quella diplomatica, non ora. Per tornare alla diplomazia bisogna riequilibrare le forze in campo, o perlomeno mantenere forti capisaldi finché non ne avranno abbastanza e poi ritornare a una soluzione diplomatica, possibilmente con Haftar rimosso dai suoi stessi alleati. Lo ripetiamo, dovevamo intervenire prima, sarebbe forse bastata la minaccia di un intervento per riequilibrare la situazione e non avremmo dato spazio a sempre più minacciosi interventi esterni. Ora è il tempo dei boots on the ground secondo le modalità descritte sopra, pena perdere non solo la Libia ma tutto il Mediterraneo centro orientale, cosa non da poco per una nazione che vede le sue merci e le materie prime di cui ha bisogno passare per più del ’80% sulle rotte marittime.