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Matteo Salvini sembra si stia candidando a uscire dalla porta di servizio della politica italiana. Il piccolo leader della Lega, che oggi sembra il padroncino della nazione ma ha meno voti di quanti ne avesse Renzi un anno prima di sparire dai radar, non ha avuto il coraggio politico elementare di cambiare idea sull'odioso, delirante, obsoleto e inutile progetto ferroviario Tav Torino-Lione, già abortito dal futuro dell'Europa prima ancora di nascere. Era stata una pessima idea degli anni '80, già tramontata – come infrastruttura dalla prospettiva strategica – al crepuscolo del secondo millennio, quando si cominciò a dimostrarne l'inutilità. Gli ultimi vent'anni – grazie anche ai valsusini e al movimento NoTav – non hanno fatto altro che ribadire quello che già si sapeva. Miliardi gettati, con costi folli per il territorio.

La Francia? Prenderà in considerazione il binario “veloce” solo nel 2038, quando Parigi riaprirà la discussione sull'eventuale nuova linea destinata a unire la Maurienne alpina a Lione. Il tunnel da 57 chilometri? Finora non ne è stato scavato neppure un metro. A Chiomonte c'è solo una piccola galleria geognostica, da cui non passerà mai nessun treno. Merci da trasportare? Inesistenti, secondo tutte le analisi (anche quelle del governo): l'attuale linea Torino-Lione – via Modane-Fréjus, sempre in valle di Susa – potrebbe quintuplicare il suo volume di traffico. E il profilo occupazionale dell'eventuale cantiere? Ridicolo: poche centinaia di addetti, per qualche anno. Ricadute sull'economia del Piemonte? Previsioni mai pervenute, dunque inconsistenti.

Il braccio di ferro ingaggiato coi 5 Stelle in Senato e stravinto da Salvini, con l'appoggio del Pd, dimostra tutta la debolezza del capetto dell'ex Carroccio, che in valle di Susa aveva esordito, anni fa, schierandosi fieramente dalla parte della popolazione, contro il Tav. La nuova Lega, ereditata da Salvini al 4% e ora portata vicino al 40 (virtuale, perché ormai l'astensionismo coinvolge quasi un elettore su due) mette in evidenza l'effimera fragilità di una leadership forte solo a parole coi poteri europei, ma in realtà pronta a eseguire qualsiasi indicazione dei piani alti. Lo si era capito fin dall'inizio, un anno fa, con il colpevole silenzio di fronte al niet di Mattarella sulla nomina di Paolo Savona come ministro dell'economia.

Col passare dei mesi, Salvini non ha fatto che fingere di cambiare la politica italiana: le risse con le Ong sugli sbarchi di poche decine di migranti sono servite a coprire i cocenti fallimenti della Lega, incapace di incidere sui fondamentali della politica economica e di proteggere l'Italia dalla crisi artificiale pilotata da Bruxelles. Con Borghi e Bagnai costretti a fare le belle statuine in Parlamento, Salvini ha ingoiato il super-rospo del divieto di ampliare in modo opportuno il deficit nazionale. E mentre sbraitava comicamente contro i negozietti di cannabis terapeutica, non è neppure riuscito a difendere il suo sottosegretario Armando Siri, disarcionato dal giustizialismo italico per un'indagine solo avviata. Siri era “l'inventore” della Flat Tax, cavallo di battaglia della Lega alle politiche 2018. Ora, con la mozione a favore dello spreco del secolo, l'infrastruttura più costosa e più inutile della storia, Salvini prenota per se stesso un declino ad alta velocità: sarà impossibile prendere sul serio le parole del capo leghista, il super-sovranista tutto chiacchiere e distintivo.

(Giorgio Cattaneo, 7 agosto 2019).