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Di fesserie, nelle ore successive al fallito golpe in Turchia, ne abbiamo sentite parecchie… Andiamo con ordine (segnalerò due avvenimenti che considero importanti).

Prima di iniziare, voglio dare “massima rilevanza” alle parole pronunciate da Gioele Magaldi a “Colors Radio”. Racconta Magaldi: «Da fonti riservate sapevo con certezza che in Turchia si stesse preparando un golpe: non il maldestro tentativo cui abbiamo appena assistito, facilmente controllato da Erdogan, ma un golpe autentico, programmato per l’autunno. Erdogan sa benissimo che i suoi veri, potenti nemici, non sono toccabili: la sua repressione, feroce e molto rumorosa, non li sfiorerà neppure. Nel caso di un golpe a tutti gli effetti, quindi con il coinvolgimento dei massimi vertici dell’esercito, della marina e dell’aviazione, oltre che con la partecipazione degli Usa e di Israele, Erdogan verrebbe liquidato in poche ore, arrestato o ucciso.»

Ma addentriamoci nella narrazione…

Primo avvenimento. Il 24 novembre 2015, al confine tra Siria e Turchia, venne abbattuto in volo il Su-24 Fencer russo, impegnato nelle operazioni anti-Isis nel nord della Siria, mentre violava lo spazio aereo turco (spazio aereo violato per 17 secondi).

Questo evento provocò la rottura delle relazioni tra Ankara e Mosca (rottura durata circa otto mesi). Il disgelo tra i due Paesi avvenne nel giugno scorso, quando Putin ricevette le scuse da parte del Presidente Erdogan.

E qui, prima di andare avanti, è giusto aprire una piccola “parentesi”: i due piloti che eseguirono l’ordine di abbattere il jet russo, risultano tra i militari golpisti-oppositori di Erdogan. Non a caso, anch’essi sono stati arrestati. Difatti, c’è chi afferma: «Questo spinge a ripensare gli eventi del 24 novembre 2015, alla luce degli accadimenti dello scorso fine settimana.»

Questi “movimenti” mettono ancor meglio in luce quel che era noto in diversi ambienti: la guerra interna tra Erdogan ed una parte dei militari, guerra che va avanti da circa dieci anni.

Le scuse formali di Erdogan al Cremlino hanno di fatto ristabilito i rapporti tra i due Paesi: rapporti che per quanto riguarda gli Stati Uniti, invece, sono costantemente al ribasso...

 

Secondo avvenimento. Il 24 maggio 2016, la Turchia cambia “strategia politica”: Binali Yıldırım, ministro per le Infrastrutture, la Navigazione e le Comunicazioni, un politico nel quale notoriamente il Presidente Erdogan ha sempre riposto grande fiducia, viene preferito ad Ahmet Davutoğlu  (primo ministro della Turchia dal 28 agosto 2014 al 5 maggio 2016), quindi nominato nuovo primo ministro.

Scrive Alexander Sotnichenko (professore di relazioni internazionali all’Università di San Pietroburgo ed esperto di relazioni russo-turche): «All’epoca dell’incidente fu l’allora premier Ahmet Davutoglu a prendersi la responsabilità di quello che successe e non Erdogan. Ora Erdogan sta cercando di dimostrare che non fu lui il colpevole di quella vicenda, ma i sostenitori di Gulen.»

In un’intervista al New York Times e al Financial Times, il predicatore Fethullah Gulen, ha affermato: «Tutto ciò potrebbe essere stato organizzato dall’opposizione o dai nazionalisti. Vivo lontano dalla Turchia da 30 anni e non sono stato io»; inoltre, ha aggiunto:  «Come credente non posso muovere accuse senza avere prove... ma alcuni leader organizzano falsi attentati suicidi per rafforzare il loro potere, e questa gente ha questo tipo di idee in testa.»

La Turchia ha accusato gli Stati Uniti di proteggere Fethullah Gulen (un miliardario che ha le mani nelle scuole, università, magistratura, servizi segreti, polizia; inoltre è molto popolare tra i soldati ed è considerato da Erdogan la mente del golpe) ed ha apertamente chiesto l’estradizione del dissidente turco residente negli Stati Uniti, ma Washington non vuole concedere l’estradizione e chiede prove legali e l’apertura di un processo. Erdogan, difatti, ha affermato: «Invito il Presidente degli Stati Uniti a consegnarci Fethullah Gulen perché implicato nel tentativo di golpe». Alla sua richiesta, però, è arrivata la “netta” risposta del segretario di Stato John Kerry: «Gli Stati Uniti prenderanno in considerazione la richiesta, ma invitiamo il Governo turco, come sempre facciamo, a presentarci prove legittime che accetteremo e giudicheremo in modo appropriato.»

Detto questo: c’è chi segnala due dettagli e pone una domanda. Scrive Paolo Becchi: «Da dove sono partite le prime squadriglie di caccia militari che per primi hanno attaccato e bombardato gli edifici istituzionali dello Stato e del Governo di Ankara? Ovviamente da una base militare, ma guarda il caso si tratta di una base militare americana: la base aerea di Incirlick, utilizzata dagli americani per colpire la Siria. Erdogan deve averlo capito abbastanza presto perché ha subito deciso la chiusura della base e fatto arrestare un generale.»

Ancora: «Da dove è partita la notizia di cui tutti hanno invece parlato poi rivelatasi falsa di un Erdogan in fuga nei cieli sopra Berlino? Dai Merkel, fammi scendere… Da una rete di informazioni televisiva americana - la NBC - che noi ovviamente senza controllarne la fondatezza abbiamo ripreso in tutti i telegiornali». Aggiungo anche il Dipartimento di Difesa americano…

Quindi la domanda: «Come mai la Nato non è intervenuta subito a sostengo di uno Stato membro, come avrebbe dovuto fare, ma ha aspettato l’evolversi della situazione, come del resto gli Stati Uniti e l’UE?»

Sempre secondo il professor Paolo Becchi, l’ordine era reale: bisognava uccidere fisicamente Erdogan. Scrive Becchi: «Erdogan è riuscito a scappare grazie ai servizi segreti russi. Putin lo ha salvato da morte certa. Anche se non adeguatamente preparato, se Erdogan non fosse scampato all’attentato nell’hotel in cui risiedeva e fosse stato ucciso, il colpo di Stato sarebbe riuscito. Stando alle ultime ricostruzioni trapelate da ambienti vicini al SVR, i servizi di intelligence russi per l’estero, ci sarebbe stato un intervento degli Specnaz, le forze speciali russe, che avrebbero scortato e difeso il Presidente Erdogan dal golpe militare, accompagnandolo dal luogo in cui era fallito l’attentato, che doveva eliminarlo, all’aereo che lo ha riportato ad Ankara». Inoltre, ricorda: «Ce lo siamo già dimenticato il Presidente deposto dell’Ucraina, Viktor Yanakovych, nel febbraio del 2014? In quel caso il golpe parzialmente riuscì, ma Putin con una operazione straordinaria riuscì a salvare almeno la vita dell’alleato, anche in quel caso eletto democraticamente. E pure dietro a quel golpe c’erano gli americani. Gli americani avevano messo Erdogan nel mirino da tempo, ma l’ultima sua giravolta a favore di Putin è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»

Forse, per tutto ciò di cui sopra, il Ministro del lavoro Suleyman Soylu, aveva dichiarato che «gli istigatori di questo colpo di stato sono gli Stati Uniti…»

Insomma, chi c’è veramente dietro a questo tentato colpo di Stato non ci è ancora dato saperlo ma, come sostiene Gioele Magaldi, questo non è stato un «golpe a tutti gli effetti» ed inoltre «Erdogan sa benissimo che i suoi veri, potenti nemici, non sono toccabili: la sua repressione, feroce e molto rumorosa, non li sfiorerà neppure»... Russia permettendo, aggiungerei...

Concludo il pezzo in maniera “particolare” con le parole di Gianfranco Carpeoro (parole che condivido alla lettera e che considero appropriatissime nell’attuale caos globale).

Scrive Carpeoro: «Siamo in pericolo, e lo saremo sempre di più. Motivo: l’élite planetaria, quella che oggi ricorre anche al terrorismo stragista, sta cominciando ad avere paura. Teme, per la prima volta, di perdere il potere assoluto che ha esercitato, negli ultimi decenni, in modo incontrastato. A inquietare le super-oligarchie mondiali non è solo il progressivo risveglio democratico di una parte dell’opinione pubblica, sempre più scettica di fronte alla narrazione ufficiale degli eventi. Pesa, soprattutto, la clamorosa diserzione di una parte consistente di quello stesso vertice di potere, spaventato dalle rovinose conseguenze, su scala mondiale, della “dittatura” neoliberista, il cui obiettivo è chiaro: confiscarci ogni diritto e retrocedere tutti noi a livelli di sfruttamento da Terzo Mondo.»

Vincenzo Bellisario

(Articolo del 4 Agosto 2016)